Questa è la storia di un affare non concluso, eppure vale la pena raccontarla. Per due motivi: perché non è detto che il suo mancato compimento sia definitivo, e che dunque la vicenda sia chiusa una volta per tutte; e perché essa contiene ulteriori e preoccupanti elementi di lettura sulla mutazione genetica del calcio globale. La storia riguarda Valencia e il suo principale club calcistico.
Da una parte c’è una città che, come l’intero paese in cui è collocata, ha fatto dello sport uno strumento di crescita ambiziosa e sovente spregiudicata. Una corsa allo sviluppo che vede nel calcio un driver potente ma non esclusivo. Dal 2008 Valencia prende infatti a ospitare il Gran Premio d’Europa di Formula 1, che si disputa su un circuito cittadino. E nel 2010 arriva pure l’America’s Cup (ultima edizione fin qui disputata, in attesa di quella che si celebrerà a San Francisco nel settembre 2013), che vede il detentore Alinghi difendere e perdere il trofeo contro Oracle.
Dall’altra parte c’è una società calcistica che con l’inizio del XXI secolo entra a suon di risultati fra le grandi del calcio europeo (grazie a due sfortunate finali consecutive di Champions League nel 2000 e nel 2001, perse contro Real Madrid e Bayern Monaco sotto la guida di Hector Cuper), al punto da venire cooptata dall’autonominata élite del calcio continentale radunata nella lobby del G-14. Dunque gli Anni Zero del XXI secolo sono per la città di Valencia e per il suo principale club calcistico quelli del decollo. Purtroppo poi arrivano gli Anni Dieci. Crolla l’economia nazionale, e a cascata crollano le economie locali e quella dello sport spagnolo. Dal canto suo, il Valencia si trova in una situazione debitoria spaventosa: 370 milioni dei quali 281 verso Bankia, il famigerato conglomerato d’istituti bancari fatto oggetto nei mesi scorsi di un’ardita operazione di salvataggio finanziata con fondi europei. È Bankia a bloccare i lavori del “Nueva Mestalla”, il nuovo stadio del club i cui lavori andavano avanti dal 2008. E è sempre Bankia a vedersi giungere meno di un mese fa una proposta che desta perplessità. Qui si condensa la storia dell’affare non andato a conclusione. Per ora.
Lo scorso 26 novembre, lunedì, un signore costaricano chiamato Mario Alvarado Orozco si presenta presso la sede principale di Bankia a Valencia. Si qualifica come investitore, e avanza una proposta indecente: comprare dalla banca per 220 milioni il debito di 281 milioni del Valencia. Poi, giusto per non passare inosservato, convoca una conferenza stampa e rende pubblica l’offerta. Il tutto avviene giusto nei giorni in cui il presidente del club valenciano, Manuel Llorente, si trova a Dubai dove cerca disperatamente investitori per il suo club. Il clamore sull’offerta di Alvarado dura un attimo, seguito immediatamente dai dubbi. Chi è questo personaggio? Perché è così interessato al debito del Valencia? E soprattutto: quali sono i suoi veri obiettivi? Gli interrogativi sul personaggio vengono chiariti nell’immediato, a giudicare dal numero di pagine web rintracciabili con date fra il 27 e il 29 di novembre (prima e dopo si trova quasi nulla): un avventuriero della finanza globale, come tanti se ne trova in giro nell’epoca del capitale volatile, per di più sconosciuto nel suo paese. Quanto agli obiettivi, essi vengono delineati attraverso l’uso di un’etichetta. Che in inglese suona vulture fund, e in spagnolo fundo buitre: fondo avvoltoio. Si tratta di uno specifico tipo di fondo d’investimento, che proprio come un avvoltoio va in cerca di attori economici moribondi: aziende, società di capitali, persino stati-nazione. I fondi avvoltoio comprano da terzi il debito dell’attore economico e a quel punto ne spolpano ogni residua risorsa per trarne il massimo profitto. Un caso da manuale è quello del Donegal International Ltd, un fondo che nel 2005 ha trascinato in tribunale lo stato dello Zambia per un debito da esso contratto nel 1979 con la Romania per finanziare l’acquisto di macchinari agricoli. Donegal aveva comprato dalla Romania quel debito per 3 milioni di dollari nel 1999, e sei anni dopo aveva citato presso l’Alta Corte di Londra lo Zambia chiedendo il versamento degli interessi maturati in quasi trent’anni: 55 milioni di dollari. La sentenza ha riconosciuto al fondo 15 milioni di dollari, aggiungendo un severo giudizio di disonestà per il suo dominus, Michael Francis Sheehan.
Quando la notizia dell’offerta avanzata da Mario Alvarado Orozco si diffonde, i media spagnoli non si peritano di chiamare col giusto nome l’istituzione di cui l’”investitore” costaricano è rappresentante: un fundo buitre. Del resto, perché mai un finanziere dovrebbe muoversi dal Centro America per venire a comprare in Spagna un club calcistico dalla situazione finanziaria devastata? Alla storia della ristrutturazione non crede nessuno. Più facile si tratti di un avventuriero che una volta comprato il debito fagociti ogni risorsa del club. E di risorse il Valencia può ancora vantarne. A dispetto del disastro economico-finanziario, esso è stato negli ultimi anni il primo del “campionato degli altri” (cioè il terzo dietro le irraggiungibili Barcellona e Real Madrid), confermandosi ospite fisso in Champions League. Il che significa prize money, diritti televisivi, sponsor. Denari sicuri. Per non dire dell’area in cui dovrebbe sorgere il nuovo stadio. Anche un attore economico moribondo può possedere enormi ricchezze; che non bastano a coprire i debiti ma certo possono arricchire attori terzi.
Come detto all’inizio, l’affare non si realizza. I dirigenti valenciani di Bankia respingono l’offerta adducendo non già considerazioni economiche, ma guardando agli aspetti sociali della questione. Dunque, pericolo scongiurato. Ma si può essere certi che ciò non significhi il definitivo allontanamento della minaccia. Perché due interrogativi continuano a incombere. Il primo: fino a quando Bankia sarà disposta a tenersi in casa la bomba di quel debito da 281 milioni senza prendere in considerazione ogni soluzione per disinnescarlo? Il secondo: quanto tempo rimane prima che i fondi avvoltoio trovino in giro per il mondo un club calcistico decotto sul quale planare indisturbati?
@pippoevai